Il Consorzio Terre di Cosenza Dop lancia nuove sfide per la promozione enoturistica della Calabria. Lo fa attraverso una serie di eventi e iniziative che sono state organizzate recentemente e che hanno visto i vini Dop Terre di Cosenza protagonisti di un evento organizzato dal Gruppo Italiano Stampa Turistica all’Unahotels Decò Roma nei giorni scorsi. Dopo il progetto di formazione in 11 istituti alberghieri calabresi, rivolta a studenti e a 250 operatori del settore ho.re.ca, la nuova sfida del Consorzio per il 2024 è incrementare le visite in cantina anche fuori stagione e la domanda dei vini in enoteche, winebar e ristoranti.
«I nostri territori rurali, ricchi di borghi, arte e prodotti tipici, sono una risorsa vincente per attirare i turisti in cantina tutto l’anno. Dai produttori l’impegno per incrementare l’offerta enoturistica del Cosentino. Siamo pronti».
Questo territorio si caratterizza, oltre che dalla varietà dei vitigni autoctoni, da 7 sottozone che corrispondono alle 7 Doc unificate con il disciplinare del 2011 e con la fondazione del Consorzio Terre di Cosenza Dop nel 2014. Il lancio enoturistico delle Terre di Cosenza Dop è la nuova fase del progetto “Local Wine Experience”, un piano di formazione professionale da poco concluso, sostenuto da risorse regionali ed europee, co-finanziato dai produttori, e rivolto a 250 operatori del canale Ho.re.ca. (hotel, ristoranti, catering, botteghe del gusto, enoteche), a 300 studenti di 11 istituti alberghieri, a 50 fra giornalisti, food blogger e influencer calabresi; quest’ultimi coinvolti lo scorso giugno in un viaggio stampa formativo sul territorio e fra le 32 cantine del Consorzio Terre di Cosenza Dop.
Oggi la “piramide della qualità” delle Terre di Cosenza vede un segmento base di vini da vitigno internazionale (per i rossi in uvaggio con una presenza minima di Magliocco del 60%).
Nel segmento superiore troviamo i vini da monovitigno, a seguire le 7 sottozone della ex Doc, con i nomi dei rispettivi territori, che sono: Condoleo, Colline del Crati, Donnici, Esaro, Pollino, San Vito di Luzzi e Verbicaro.
Ai vertici della piramide troviamo il Magliocco, il vitigno a bacca rossa più diffuso e identificativo del Cosentino. Prodotto da tutte le cantine con rese di max 90 quintali/ettaro, con grado alcolico, tempi di maturazione e affinamenti più elevati. Per i produttori c’è la possibilità di indicare in etichetta il nome della vigna fra 132 “cru” divisi tra le sottozone.
Questa è una piccola denominazione in forte crescita: nel 2020 valeva 2.800 ettolitri di vino certificato Dop, nel 2021 circa 4mila e nel 2022 oltre 7mila, quasi raddoppiato. La superficie vitata a Dop è passata invece dai 126 ettari del 2018, ai 140 del 2020 fino a oltre 175 ettari nel 2022; a inizio anno si conosceranno i dati produttivi del 2023, ma le stime sono date ancora in positivo.
In questo trend di crescita è il vitigno Magliocco a fare la parte del leone, la varietà su cui si sono concentrati gli sforzi maggiori per identificarlo al territorio Cosentino; un obiettivo raggiunto nel canale della distribuzione Ho.re.ca. Su 3.500 ettari vitati della provincia di Cosenza oltre la metà sono di magliocco dolce.
I bianchi, utilizzati insieme alle uve rosse, oggi rappresentano il 30% del vino Dop, comunque un altro dato in crescita vista la tendenza odierna a vinificarli in purezza. Un nuovo corso guidato soprattutto dal Pecorello, il vitigno autoctono di Rogliano che sta facendo da apripista alla rinascita bianchista del territorio Cosentino. Si aprono, però, interessanti prospettive enologiche anche per la Guarnaccia del Pollino e per il mantonico, una varietà importata dal Reggino.
La viticoltura Cosentina interessa una fascia tra i 300 e i 700 metri slm, ricca anche di vitigni reliquia, alcuni iscritti da poco nel registro delle varietà. Ad esempio “grappoli” a bacca rossa conosciuti col nome di greco, arrivati dalla Grecia, adesso ribattezzati con nomi di fantasia: il Grecarese di Verbicaro, il Negrellone nero di Montepaone, il Balbino di Altomonte. E ancora: il Lagario di Sibari, il Mantonico nero ribattezzato Brettio nero e tra i bianchi il Pujno e la Duraca (clone di Zibibbo dell’alto Tirreno cosentino).