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«Costa Archi» la grammatica enoica secondo il «Vignaiol contrario» della Serra, messère Gabriele Succi

E’ uno dei testimonial più autentici e veraci del territorio della «Serra» in quel di Castel Bolognese (Ra). Siamo a pochi chilometri a sud della via Emilia. Praticamente a un paio di chilometri di distanza in linea d’aria. Qui, dove la terra inizia gradatamente a salire, Gabriele Succi guida la cantina di famiglia, Costa Archi, attiva dagli anni ‘60, quando il nonno Gian Battista Costa decise di piantare le vigne sui terreni della moglie, Gabriella Archi. Oggi lo fa, a differenza dei suoi avi, che puntavano tutto sull’Albana, portando avanti un discorso vitivinicolo soprattutto incentrato sul vino rosso, ovviamente firmato Sangiovese.

L’azienda si estende su di un corpo unico per un totale di 11 ettari interamente investiti a vigneto: il nome del podere è «il Beneficio» dove i terreni sono caratterizzati da argille rosse evolute o da altre argille più gialle ricche di depositi calcarei.  Per quanto concerne l’impostazione agronomica e vitivinicola,  che è anche filosofia di vita portata avanti con caparbietà e nettezza di posizione personale, lo stesso Succi sottolinea come «parta dal presupposto, tutto personale, che la Romagna sul bianco non trova ancora una vocazione all’altezza delle richieste del mercato qualitativo. A questo si aggiunga il fatto che a me piace il tannino; quello elegante, equilibrato però ma che si sente senza disturbare. Per questo preferisco puntare sui vini, ovviamente rossi, che ne possano esprimere la migliore interpretazione». Non è però una scommessa e una impostazione semplice, perché «il territorio nel quale possiedo le vigne, la Serra, offre esposizioni e sommatorie termiche molto importanti che impongono una cura e un lavoro molto intenso in vigna e poi in cantina».

Gabriele Succi da sempre crede nel l’areale in cui lavora e lo fa portando la rivendicazione, quella che da qualche anno è stata introdotta in sedici zone di tutta la Romagna per quanto concerne il Romagna Sangiovese Doc. Lo fa però con una motivazione sottilmente polemica e di rivalsa che non è di natura commerciale o solamente narrativa: «volevo dimostrare a chi pensa e pensava che il Sangiovese della Serra non valesse la pena coltivarlo perché non veniva all’altezza delle aspettative, che si sbagliava». Stando ai risultati ottenuti, in riferimento anche solo ai riconoscimenti e premi arrivati da parte degli addetti del settore e delle guide nazionali, sembra proprio che la ragione fosse la sua.

Sempre per il vignaiolo poi un’altra riflessione in stile «succiano» non se la lascia scappare. Il tema è la questione del cosiddetto biologico. «Io non lo faccio perché invece punto su una coltivazione convenzionale ma ragionata. Questo – sottolinea – di fatto è come essere biologici in quanto trattamenti e interventi fitosanitari li si fanno quando ce n’è bisogno. A questo poi si aggiungano tecniche agronomiche, di selezione clonale e di allevamento più sostenibili e contemporanee e il gioco è fatto. Ma non senza fatica e tanti investimenti, di tempo e di risorse».

Se è vero che il teatro del vino ha tanti e diversificati attori, Succi rappresenta sicuramente un protagonista avanguardista, sia dal punto di vista stilistico che performativo. I suoi sono vini schietti, sinceri, identitari e sofisticati. In questo caso però nel senso che rappresentano sorsi taglienti e corposi, succosi e tannici, ma sempre e comunque eleganti e netti.

La produzione in rosso di Costa Archi prevede storicamente una batteria di referenze composta da quattro tipologie di Sangiovese, poi ridotte a tre dal 2016, e due di bianco. «Si tratta – spiega il vignaiolo castellano – di Assiolo Serra, del Monte Brullo Serra Riserva, Beneficio, fino al 2007 Sangiovese Superiore poi Igt e dal 2017 Serra Riserva e infine il Gs, fino al 2016 rivendicato Igt e poi dal 2019 Serra Riserva. Sui bianchi invece – prosegue – la nostra offerta si esaurisce con il Trebbiano, l’ultima annata prodotta sarà quella del 2023 poi non lo faremo più, e il Barrosche bianco creato con il vitigno Montuni».

Non una grande quantitià prodotta, in media siamo sulle 3mila bottiglie per ogni referenza salvo l’Assiolo dove si arriva a una produzione fino a 10mila bottiglie.

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