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I sorsi di Col d’Orcia incontrano i piatti del San Domenico

Ci sono serate , momenti, eventi e degustazioni che definire memorabili gli si fa quasi dispetto

Da Montalcino a Imola
Sono state cinque le annate di Brunello Riserva di Col d’Orcia che hanno dialogato con l’alta cucina, due stelle Michelin, del Ristorante San Domenico di Imola. Per quanto concerne il vino, siamo al confine sud ovest del territorio di produzione del Brunello di Montalcino. Qui la famiglia del conte Marone Cinzano negli anni ’70 del secolo scorso decide di scommettere su una terra “marginale” ma dal grande potenziale. Un azzardo che tanto non è stato visti i risultati raccolti. Al di là della storiografia, quello assaggiato a Imola è un atto creativo che racchiude nell’espressionismo artigianale della vitivinicoltura di questa appendice della Toscana, e scusate che appendice, un messaggio impressionista del sorso. Terroir, perfezione, stile ed eleganza che si fanno sorso. Stiamo parlando della Riserva della cantina, il Col d’Orcia. Una chicca che parla di storia, tradizione ma soprattutto di identità territoriale e antropologico-vinicola. Un prodotto che nasce in località Sant’Angelo in Colle su terreni collinari esposti a mezzogiorno, di altitudine 350 mt s.l.m e con anno di impianto risalente al 1974.
Al San Domenico l’esperienza gastronomica è una immersione nel gusto. Quello autentico, caratteristico di chi intende improntare una cucina contemporanea attraverso la semantica della tradizione. Lo chef, Massimiliano Mascia, interpreta piatti storici, come il “Uovo in Raviolo” con uno stile netto, preciso e burroso passando attraverso lo stile perfezionista del “Riso mantecato con cipolla tostata”. Si passa poi alla “scioglievolezza” e succulenza carnosa della “Guancia di vitello brasata”, rispecchiatasi anche nel “petto e coscia di quaglia al tegame” portata come antipasto, per arrivare al giocoso intreccio di sapori, consistenze, colori e temperature della “Caprese al cioccolato”.

Degustazione

2001 – Capolavoro assoluto. Chi mai avesse in cantina questa annata si affretti a degustarla. Siamo all’apice, al top, alla vera essenza del Montalcino Riserva. Non mancheranno ancora troppi anni per assaporare la perfezione assoluta e l’equilibrio tra tutte le componenti enoiche. Cuoio, ematicità, frutto allo stato esaltato. Tannini perfetti, balsamici, sottili. Connubio di potenza ed eleganza. Qui non si vola alti, si accarezza direttamente il firmamento… Questo è un vino che riposa 4 anni in botti di rovere di Allier e di Slavonia seguiti da oltre 2 anni di affinamento in bottiglia.

2006 – Un quasi capolavoro al sorso. Prendetelo, mettetelo in cantina e dimenticatevelo per almeno cinque o sei anni. Poi provate ad assaporare l’imprinting enologico di un terroir allo stato di grazia. E’ eleganza e complessità esponenziali già ora. Frutta, terziari e succosità che non possono che migliorare con oscurità e riposo. Tannini equilibratissimi chiudono in una lunghissima persistenza balsamica da senza parole. Un bouquet figlio del varietale e dell’affinamento per 4 anni in botti di rovere di Allier e di Slavonia da 25 e 75 hl. All’imbottigliamento sono seguiti circa 2 anni di affinamento in bottiglia in ambienti condizionati.

2010 – C’è tempo signori… c’è tempo… ma non deluderà.Potenza, frutto, sapidità e tannino balsamico non mancano. Lasciatelo stare, nel suo cullarsi nel tempo e l’apoteosi e la perfezione uscirà sicuramente. In questo caso il Sangiovese riposa per 3 anni in botti di rovere di Allier e di Slavonia seguiti da circa 16 mesi in bottiglia in ambienti condizionati.

2012 – Un vino da attendere. Si deve far apprezzare per essere testimone dell’annata ma è chiara la sua non conforme stilistica rispetto ai suoi predecessori e successori. Ancora chiuso al naso si esprime con una grazia ancora non perfezionista. Il “brutto anatroccolo”, per ora, tra i cigni dell’Orcia. L’affinamento e per 3 anni in botti di rovere e 24 mesi in bottiglia.

2015 – Il bambino, l’infante, il figliol prodigo… Questa Riserva deve ancora esprimersi e crescere ma i tratti caratteristici della tipologia già convincono. Parliamone tra dieci anni… intanto investimento assicurato per il palato. Ematicità e terziarietà, soprattutto tostata, eleganza delle durezze sono in sintonia con una concentrazione di frutto che lasciano non solo ben sperare ma assolutamente sarà una grande sorpresa aprirlo tra una decina di anni (a partire da oggi, ovviamente). Affinamento per 3 anni in botti di rovere e 16 mesi in bottiglia.

Altro sorso portato al palato è stato il “Ghiaie Bianco”. Uno Chardonnay firmato Col d’Orcia che strizza l’occhio ai mercati esteri. Il varietale, infatti, si perde nella nuance vegetale delle barrique con una sinta organolettica che non rientra nel nostro miglior registro degustativo. Un vino importante, con ancora una bella nota fresca e sapida, ma che vira su note di frutto giallo abbastanza maturo e vanigliature robanti.

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