Dall’Umbria all’Etna, i bianchi per un’estate sbarazzina ma capace di sorprendere tra territorialità e internazionalità del sorso. E’ così che vorrei suggerire un trittico in bianco per affrontare questa calura estiva in compagnia di sorsi che sappiano entusiasmare attraverso l’immediatezza, la conviviale e soprattutto qualitativa bevuta. Stiamo parlando di due interpreti umbri a firma Arnaldo Caprai (Chardonnay e Sauvignon) e uno siculo, che nasce all’ombra del Vulcano, figlio del Caricante, di Tenuta di Fessina.
Di Arnaldo Caprai abbiamo già parlato in altri articoli. Qui però lo facciamo vestiti di bianco. Due vitigni internazionali, Chardonnay e Sauvignon, che però riassumono i sorsi in una territorialità autentica ed espressiva. C’è in primis l’eleganza della consapevole capacità e conoscenza dei vitigni, c’è l’imprinting di un territorio e un terreno che ne caratterizzano la personalità e poi c’è il savoir faire dell’azienda che ne riassume l’essenza in sorsi fragranti, freschi, estivi e molto gastronomici. Due interpretazioni “inedite” per la patria del Sagrantino che arrivano da un percorso di ricerca e sperimentazione, iniziato quasi dieci anni fa, e che da piacevole scommessa con l’espressione varietale di altri territori, grazie all’utilizzo di tecnologie di produzione innovative e al supporto dei migliori tecnici, diventano rispettosi e credibili testimonial in calice della sostenibilità territoriale.
Il Sauvignon, grazie a un passaggio di tre mesi in acciaio e tre mesi in bottiglia, si presenta in calice con un vibrante giallo verdolino con qualche riflesso più intensamente dorato. Il suo respiro è un’interpretazione più delicata e fine della texture tradizionale del vitigno in cui il bosso e i fiori bianchi si alternano a stoccate olimpioniche d’agrume, giallo e mandarino. Un respiro che non è affannato sulle note fruttuose ma si staglia su fresche ventate di vegetalità e che trova, al sorso, una sorprendente mineralità che aiuta la freschezza a espandersi su note d’agrume. Un vino vestito di leggerezza ma tanta personalità.
Lo Chardonnay, anch’esso fa tre mesi in acciaio e tre mesi in bottiglia. Questo n’enfatizza la freschezza e la sua immediata capacità di essere bevuto subito oppure aspettato qualche anno per scorgerne le sfumature più “mature”. Un vino immediato, ma tutt’altro che banale o anonimo, ma che anzi ha una chiara personalità e gradevolezza, e si pone come perfetto “amico” per ogni occasione. Si presenta di un giallo brillante e luminoso e il respiro si dipana tra l’agrume e frutta, acerba, in polpa bianca. C’è anche una filigrana nota burrosa che si esalta al sorso ma senza diventare stucchevole o ridondante. C’è freschezza e capacità di abbinare l’armonia del sorso con la nota ancora “vinosa” e gioviale. Un grande compagno d’aperitivo e da tavole conviviali e amicali.
Scendiamo di latitudine ma saliamo d’altimetria. Siamo in Sicilia, su quel cono dal borbottio lavico facile chiamato Etna. Siamo a Tenuta di Fessina a Rovittello, sul versante nord del Grande Vulcano. Qui nascono vini straordinari che parlano la lingua della mineralità e soprattutto dell’avvolgente e leggera eleganza. Inerpicati su vigneti che traggono linfa vitale da terreni che scrutano lo Ionio e regalano matrici geologiche frutto di colate laviche antiche, sono espressione di terroir allo stato puro. Un clima montano e mediterraneo, dove il sole gioca con la neve e la ribollente lava con il possente Eolo.
La Tenuta di Silvia Maestrelli, nel 2009, si espande e diversifica le semantiche eroiche che circumnavigano l’Etna. Si arriva quindi a sud ovest, dove un’abbraccio climatico sposa momenti più temperati e meno piovosi, e a Biancavilla, dove termina la Doc Etna, ci si alza fino a 1000 metri.
Tra le referenze aziendale abbiamo potuto assaggiare un figlio dell’Etna autentico: A’Puddara Etna Bianco Doc 2022. Un vino che ammira la notte sicula con il naso all’insù, mirando lo spettacolo delle Pleiadi. Viene definito il cru di Carricante aziendale con un‘età sulle spalle non indifferenti e uve che provengono da vigne vecchie (risalenti al 1950) dislocate a 980 metri. Praticamente dove si taglia la testa alla Doc.
Un vino che nasce dopo un’accurata selezione delle uve ma che concretizza in percorsi che rispettano la tradizione.
La fermentazione del Carricante avviene in grandi botti con una lunga sosta sulle fecce, tutte accortezze che aiutano a rendere più elegante la spiccata personalità acida. A’Puddara fermenta in botte da 35 hl e riposa sulle fecce fini quasi un anno, poi bottiglia per altri dodici mesi. Si presenta vibrante e brillante nella sua sfumatura solare che respira un soffio di alto Mediterraneo. Non nel senso geografico, ma di altitudine. C’è in primis la florealità gialla dell’eroica ginestra che si sposa con la mineralità di una grafite intensa e di una frutta agrumata a picco sul mare in tempesta. C’è tanto sale che si staglia al sorso anche su note di mari ben più caldi, tropicali. Inoltre ritorna la macchia mediterranea spettinata dal vento insulare.
Si presenta di colore giallo paglierino con riflessi verdi, regala sentori di ginestra, grafite, di scorza di cedro e di sale, con un leggero accenno tropicale e di macchia mediterranea selvatica e spettinata dal quella giusta nota citrina e freschissima. E’ una lama d’incenso e di freschezza che sposa il mare guardandolo dalla vetta scura del Vulcano.